di Stefano Trasatti
Area Comunicazione CSVnet

 

Un movimento in continua evoluzione

Tra tutti i fenomeni sociali, il volontariato è tra i più difficili da “misurare”. Varie indagini condotte negli ultimi 20 anni dai più autorevoli istituti hanno dimostrato che il numero dei volontari italiani (ma il problema si ripete anche all’estero) può oscillare sensibilmente in base ai parametri scelti. Parametri che a loro volta sono molteplici e possono essere incrociati in infiniti modi: l’impegno dichiarato è occasionale o assiduo? Si riferisce all’ultimo anno o a tutta la vita? Si svolge all’interno di una organizzazione o no? È rivolto alle persone, ai beni culturali-ambientali, agli animali? È questo il motivo per cui se si vuole rispondere alla domanda: “quanti sono i volontari?”, si possono leggere cifre che variano tra 650 mila e oltre 6 milioni di persone.

Ma la refrattarietà ad essere contato non è che un aspetto della caratteristica fondamentale del volontariato: quella di essere un movimento in continua evoluzione, che cambia e si rigenera in base ai bisogni della società, ma anche seguendo la comunicazione, la politica, la tecnologia. In una altalena senza fine tra l’organizzazione e la spontaneità.

 

Gratuità e solidarietà

Secondo la legge quadro che regola questo movimento in Italia, la n. 266 del 1991, il volontariato è un’attività spontanea e gratuita espressa dai cittadini a favore della propria comunità e del proprio territorio. Gratuità e solidarietà, insomma. Il “vero” volontario non percepisce alcuna remunerazione (salvo eventuali rimborsi spese documentati); e opera per perseguire l’interesse generale, dell’intera collettività, e non quello di un pur legittimo interesse comune degli associati a una determinata realtà.

In base a questa definizione, varie attività pur di indiscusso valore civico e di utilità sociale dovrebbero essere escluse dal conteggio. Per fare alcuni esempi, chi lavora nella cooperazione internazionale allo sviluppo, chi svolge il servizio civile nazionale o chi fa parte di un circolo sportivo riservato ai soli soci.

Il volontariato, inoltre, si può esprimere in forma strutturata, in primo luogo nelle organizzazioni di volontariato (odv), ma anche all’interno di altri enti non profit, o talvolta anche in enti pubblici e imprese. Oppure in modo individuale, non organizzato, per conto proprio e senza partecipare necessariamente ad una istituzione.

 

Il non profit

Proviamo a illustrare le cifre del fenomeno a partire dalla platea dell’impegno sociale che comprende tutto il così detto Terzo settore (dalle associazioni di promozione sociale, alle cooperative sociali, dalle fondazioni alle organizzazioni non governative, dalle associazioni sportive dilettantistiche alle associazioni di volontariato ex legge 266). Secondo l’ultimo censimento Istat sulle “Istituzioni non profit”, al 31 dicembre 2011 quelle attive in Italia sono poco più di 301 mila, con un incremento del 28 per cento rispetto a dieci anni prima. Di queste, oltre 269 mila sono associazioni (con o senza riconoscimento della personalità giuridica), il 47 per cento delle quali costituite nel decennio 2001-2011.

Il settore cultura, sport e ricreazione si conferma come la naturale vocazione del non profit italiano, con oltre 195 mila istituzioni, pari al 65 per cento del totale nazionale. Seguono, per numero di enti, il settore dell’assistenza sociale (inclusa la protezione civile), con 25 mila istituzioni (8,3 per cento del totale), il settore delle relazioni sindacali e rappresentanza d’interessi con 16 mila istituzioni (5,4), l’Istruzione e la ricerca con 15 mila (5,2). Gli altri settori comprendono: religione (2,3), filantropia e promozione del volontariato (1,6), cooperazione e solidarietà internazionale (1 per cento) e altre attività (0,5 per cento).

Per la realizzazione delle proprie attività un’istituzione non profit italiana può contare in media su 16 volontari, 2 dipendenti e 1 lavoratore esterno, composizione che può variare notevolmente in relazione ai settori d’intervento, alla struttura organizzativa adottata e alla localizzazione territoriale.

 

Quanti sono

Ed eccoci al “quanti sono”. Mentre solo un anno prima, cioè nell’indagine Multiscopo 2010, l’Istat aveva quantificato i volontari italiani in poco più di 6 milioni, con il censimento 2011 lo stesso istituto nazionale di statistica afferma che i volontari sono 4 milioni e 758 mila (801 ogni 10 mila abitanti). E che il lavoro volontario rappresenta la quota principale (83,3 per cento) delle risorse umane di tutto il settore non profit.

Si tratta, come si comprende, di due rilevazioni diverse, anche se basate entrambe su definizioni molto ampie dell’impegno volontario. La Multiscopo è un sondaggio nazionale su 24 mila famiglie relativo agli ultimi 12 mesi e, riguardo al volontariato, include ad esempio anche i donatori di sangue, i filantropi e coloro che rivestono cariche sociali non remunerate in organizzazioni di vario tipo (non solo di volontariato); parametri tanto generici che di un cittadino solidale su due l’Istat non riesce a definire in dettaglio l’attività.

Nel censimento invece, come fa rilevare il ricercatore Renato Frisanco, l’Istat si concentra sul solo lavoro nell’ambito del non profit, ma arriva alla cifra di 4,7 milioni utilizzando una “definizione dimezzata” di volontario: considera cioè solo uno dei due elementi che ne determinano l’identità, ovvero la gratuità ma non la solidarietà. “In tal modo sono considerati volontari anche i soci della bocciofila, gli iscritti alla società sportiva dilettantistica, i fan del Club Juventus. I veri volontari – che come tali perseguono l’interesse generale e non l’interesse comune degli associati – sono una netta minoranza”.

 

“Sistematici e continuativi”

Se le due indagini Istat citate fanno indubbiamente testo quando si tratta di quantificare i volontari in generale (“Da 4 a 6 milioni”, è la citazione più ricorrente sui media), per restringere il campo bisogna tornare all’ultima rilevazione delle organizzazioni di volontariato svolta dalla Fivol (Fondazione italiana per il volontariato) nel 2006 e condotta dallo stesso Frisanco. Un “quasi” censimento, perché raccoglieva dati su quasi 13 mila delle 35 mila odv quantificate quell’anno in base ai requisiti previsti dalla legge 266 (oltre alla gratuità e alla solidarietà, anche la democraticità dei propri processi decisionali), escludendo cioè le altre organizzazioni del terzo settore.

In base alle stime derivanti dalla rilevazione, erano 1 milione e 125 mila i volontari impegnati nelle odv italiane. Ma di questi poco meno di 650 mila (il 57,3 per cento del totale) svolgevano la propria attività in modo continuativo o sistematico: 5 ore in media la settimana, per circa 3,2 milioni di ore complessive settimanali, l’equivalente del lavoro di 80.600 mila operatori a tempo pieno.

Ricerche successive hanno rilevato un numero ben maggiore di associazioni ex legge 266, e conseguentemente di volontari. Nel 2012 la Consulta nazionale dei Co.Ge. (i comitati di gestione che controllano l’attività della rete dei Centri di servizio per il volontariato) ha quantificato in 47 mila le odv italiane, due terzi delle quali iscritte nei registri regionali previsti dalla stessa legge quadro. A corredo di questo dato, il numero dei volontari, soci, iscritti e sostenitori è stato stimato tra un milione e mezzo e due milioni e mezzo di persone.

 

In cosa si impegnano

Al di là dei numeri e dei parametri con cui vengono raggiunti, è interessante però occuparsi del volto dei volontari, sempre tenendo conto che anche questo aspetto è in perenne evoluzione. Nell’ottobre 2015 CSVnet ha pubblicato il primo Report delle organizzazioni di volontariato censite dai CSV, realizzato insieme a Fondazione IBM. Si tratta dell’analisi dei dati anagrafici raccolti dai Centri di servizio nelle proprie banche dati riguardo il territorio di riferimento, un patrimonio informativo riguardante oltre 44 mila associazioni. Eccone alcuni elementi:

–               il soggetto sociale più citato nelle denominazioni delle odv è la “famiglia”, seguono gli “anziani”, i “genitori”, le “donne”, i “giovani” e i “bambini”, i “disabili”. Fra le parole più frequenti spiccano invece “amici”, “insieme”, “sorriso”;

–               esaminando le finalità e le attività descritte nella mission delle odv emergono, nell’ordine, “promozione”, “assistenza”, “donazione”, “sensibilizzazione”, “tutela”, “educazione”;

–               mentre, in assoluto, nelle 5 regioni più popolose (Lombardia, Toscana, Lazio, Piemonte, Emilia-Romagna) si concentra il 55 per cento delle odv (il 18 nella sola Lombardia), rapportando il loro numero a quello degli abitanti, sono 7 le regioni che hanno più di una organizzazione ogni 1.000 abitanti: il rapporto più elevato si registra in Friuli-Venezia Giulia e in Valle d’Aosta;

–               il 50 per cento delle odv ha come massimo ambito territoriale di riferimento il territorio del comune, solo per 5 su 100 il riferimento è nazionale o internazionale;

–               la metà delle odv opera con meno di 16 volontari, solo il 15 per cento ne dichiara più di 50; inoltre, la metà ha meno di 60 soci, e poco più del 10 per cento ha una base associativa molto estesa (oltre 500 soci);

–               il Report conferma una crescita costante delle odv dal 1980 al 2007, con dei picchi nel 1991, in coincidenza dell’emanazione della legge quadro sul volontariato che ha istituito i Centri di servizio; nei 7 anni successivi, invece, si osserva una costante diminuzione dell’incremento annuale del numero di organizzazioni costituite;

–               la rappresentanza legale delle odv è composta per i due terzi da uomini; le donne sono maggiormente presenti nei settori dell’educazione, dell’istruzione e della ricerca (dove raggiungono il 50 per cento), della tutela dei diritti e dell’assistenza sociale;

–               la maggior parte delle odv opera nel campo dell’assistenza sociale e della sanità; da sole queste due classi racchiudono il 55 per cento del totale; seguono le organizzazioni che si occupano di cultura, sport e ricreazione;

–               una odv su 4 non indica una categoria specifica di riferimento per la propria attività; un ulteriore 30 per cento definisce gli utenti in base a caratteristiche di genere (donne) o anagrafiche (anziani, minori, giovani): fra questi, anziani e minori sono le categorie primarie di utenti; la classe di utenza della malattia e della disabilità coinvolge il 18 per cento delle odv; si occupano di rom, immigrati o profughi il 5,7 per cento delle organizzazioni.

 

Le persone e il “lavoro volontario”

Oltre al volontariato che opera in modo strutturato attraverso le odv, CSVnet si è occupato anche di fotografare l’azione volontaria espressa dai singoli cittadini e nel 2014, in collaborazione con Istat e Fondazione Volontariato e Partecipazione (Fvp), ha realizzato ha pubblicato il documento “Attività gratuite a beneficio degli altri”. Si tratta della più compiuta e ampia indagine sul valore economico e sociale del lavoro volontario, oltre che l’unica armonizzata agli standard del relativo Manuale di misurazione pubblicato dall’Oil (Organizzazione internazionale del lavoro).

L’indagine ha fornito informazioni comparabili sul numero di cittadini che offrono gratuitamente e volontariamente il loro tempo agli altri o a beneficio della comunità (il vincolo temporale erano le quattro settimane precedenti l’intervista), sulle principali caratteristiche strutturali di tale parte della popolazione e delle attività che essa svolge. Inoltre è stato possibile raccogliere dati aggiuntivi sul valore sociale di queste azioni in base a numerosi elementi. Di seguito alcuni dei principali risultati emersi dall’indagine:

–               il tasso di volontariato più elevato si registra al nord, con una punta del 16 per cento nel nordest, mentre il sud si contraddistingue per livelli di partecipazione sensibilmente più bassi (8,6 per cento);

–               gli uomini sono più attivi delle donne (13,3 per cento contro 11,9) per via di una maggiore presenza maschile nel volontariato organizzato;

–               i volontari appartengono prevalentemente alla classe di età 55-64 anni (15,9 per cento). Il contributo di giovani e anziani in termini di presenza attiva si mantiene, invece, inferiore alla media nazionale;

–               la quota di chi svolge attività volontarie cresce con il titolo di studio: il 22,1 per cento di chi ha una laurea ha avuto esperienze di volontariato contro il 6,1 di quanti hanno la sola licenza elementare;

–               la maggior parte delle persone che fanno volontariato lavora nel settore del commercio e dei servizi (37,4 per cento), il 22,9 nella pubblica amministrazione, il 21 nell’industria, soltanto il 3,8 in agricoltura; il 14 per cento dei volontari è disoccupato o inoccupato;

–               considerando la condizione occupazionale, i più attivi risultano gli occupati (14,8 per cento) e gli studenti (12,9). La partecipazione è inoltre massima tra i componenti di famiglie agiate (23,4) e minima tra i componenti di famiglie con risorse assolutamente insufficienti (9,7);

–               la maggior parte dei volontari sono “benestanti”: valutando il proprio stato economico, il 61,9 per cento dichiara che la propria famiglia ha risorse adeguate, il 31 dice di avere risorse scarse e il 5,5 assolutamente insufficienti;

–               il volontario tipo si informa di politica spesso (45 per cento), frequentemente (23), abbastanza (13), raramente (10);

–               per il 32 per cento bisogna avere “fiducia negli altri”, ma il 66 per cento dice che bisogna “stare molto attenti”; alta invece la percentuale (27) di chi ha un basso livello di fiducia nelle istituzioni; livello medio di fiducia per il 36 per cento dei volontari, livello alto soltanto per il 20 per cento;

–               la maggior parte dei volontari pratica la fede in modo non assiduo: il 32 per cento dice di andare in Chiesa soltanto qualche volta l’anno e il 16 per cento dice di non andarci mai; il 23 per cento dichiara di andarci una volta alla settimana, mentre il 16 per cento una volta al mese.

 

Diciotto vie di accesso

Ma come si diventa volontari? Tranne occasionali e parziali campagne informative, in Italia il “reclutamento” non è mai stato affidato a un soggetto terzo che mettesse in connessione la domanda delle associazioni con la disponibilità e la voglia di “fare qualcosa” da parte dei cittadini. Ciò almeno fino all’entrata in funzione dei Centri di servizio per il volontariato, che svolgono ogni anno oltre 5 mila iniziative di orientamento e di promozione del volontariato, in gran parte nelle scuole.

Proprio dall’esperienza accumulata con queste attività, gli stessi CSV hanno individuato, durante la Conferenza annuale di CSVnet del novembre 2015 a Napoli, ben 18 modalità di accesso al volontariato o ad azioni assimilabili (per una descrizione più dettagliata si rimanda al sito di CSVnet nell’area delle Conferenze annuali):

–               volontari negli eventi (ad esempio con Expo 2015);

–               volontari nelle emergenze (terremoti, alluvioni ecc.);

–               volontari di impresa/mercato (dipendenti di aziende);

–               volontariato professionale (avvocati o tecnici che lavorano pro bono);

–               volontariato e studenti (progetti con le scuole, alternanza scuola-lavoro);

–               volontariato e giustizia riparativa (lavori di pubblica utilità in alternativa alla detenzione);

–               volontariato in connessione con misure di integrazione al reddito (ad esempio con il progetto “Diamoci una mano” per i cassintegrati promosso dal ministero del Lavoro e Politiche sociali);

–               volontariato in connessione con progetti di accoglienza (migranti /richiedenti asilo sbarcati in Italia);

–               volontariato breve ed episodico (progetto “Volontari per un giorno”);

–               Servizio volontario europeo;

–               Servizio civile nazionale

–               volontari nelle associazioni (progetto “Cittadino volontario”);

–               preparazione al volontariato (progetto “Passaporto per il volontariato”);

–               volontari nei progetti comuni (Case del volontariato e delle associazioni);

–               volontari per i volontari (presenza di volontari nella governance dei CSV);

–               volontari nella cura dei beni comuni (progetti per i campi estivi all’Asinara);

–               volontari per la legalità e l’advocacy (progetto “Cantieri per la solidarietà”);

–               volontari nelle nuove tecnologie (nello sviluppo dei profili social dei CSV).

 

La svolta di Expo

L’elenco precedente indica un ulteriore elemento della incessante irrequietezza del volontariato accennata all’inizio: quella convivenza permanente al suo interno tra forme tradizionali di impegno, altre legate a contingenze improvvise, altre ancora a esigenze tecnologiche o progetti nati dalla creatività delle stesse associazioni o CSV.

Una delle modalità più “moderne” di accesso – una via di mezzo tra il volontariato negli eventi e quello breve ed episodico – è stata sperimentata nel 2015 e ha visto protagonista proprio la rete dei CSV. Parliamo dei 5.500 giovani che hanno prestato servizio durante l’esposizione universale svoltasi a Milano dal maggio all’ottobre 2015. Grazie a un accordo tra Expo, CSVnet e Ciessevì di Milano, gli aspiranti volontari sono stati selezionati tra i 9.900 che si sono sottoposti a un colloquio presso uno dei CSV italiani (le domande originarie erano state ben 14.225).

Un successo aiutato certamente dalla visibilità dell’evento e dalla campagna di comunicazione realizzata sui media nazionali, oltre che dalla capacità di attrazione e di gestione dei Centri. Comunque un successo andato oltre le aspettative e che ha dimostrato, per la prima volta in Italia, come in presenza di un’informazione puntuale e di un progetto chiaro ed efficace i cittadini siano pronti a rispondere. Anche quelli poco o mai coinvolti in esperienze simili.

Dalla ricerca svolta dalle università di Pisa, Verona e Milano su un corposo campione dei 5.500 giovani è infatti emerso che il 45 per cento era alla sua prima esperienza di volontariato in assoluto (l’86 alla prima in un grande evento) e il 30 per cento lo aveva fatto ma in passato. Inoltre, 96 giovani su 100 sarebbero disposti a fare ancora volontariato, anzi lo consiglierebbero ad amici e parenti; due terzi di essi sceglierebbero ancora una forma episodica, tutti gli altri sono interessati ad altre forme, anche continuative di impegno.

Secondo molti osservatori l’esperienza di Expo potrebbe essere una piccola svolta per un volontariato che, se ha il movimento nella sua natura, ha anche bisogno di continui elementi di novità per rafforzarsi e rinnovarsi. Proprio quei 5.500 giovani – e i tanti che dovranno aggiungersi per altri eventi o “episodi”, come singoli o in realtà organizzate – possono essere la linfa che permetterà al volontariato del futuro di contribuire a una sempre migliore convivenza sociale.